Il Grande Inganno

Il grande inganno

Internet ha aggiunto un filtro tra noi e la realtà. Polarizzando le opinioni e falsando la percezione dei fatti.

Non è possibile catalogare l’informazione entro i termini della semplice dicotomia tra vero e falso. Esiste il concetto di incertezza. E a complicare il quadro ci sono i social, dove i contenuti diventano popolari in base a quanti like ricevono.

Come impone il buonsenso, la rete (e tutto quello che ne deriva, dal web ai social, fino alle app) è uno strumento. Uno strumento formidabile. In grado di farci accedere a conoscenza, informazione e cultura. Capace di demolire rendite di posizione; di denunciare scandali locali o internazionali; di rivoluzionare, far nascere o distruggere business e aziende; di consentire a molti di noi di continuare a lavorare (anche in presenza di una pandemia) e molto altro. Ma, come tutti gli strumenti potenti, deve essere maneggiato con cura. E, soprattutto, conosciuto, compreso. In particolare ora, dopo un anno e mezzo vissuto praticamente sempre online a causa del coronavirus. Gran parte dei nostri comportamenti, del nostro mestiere, delle nostre relazioni, dei nostri consumi e delle nostre esternazioni sono, infatti, stati mediati dallo schermo di un dispositivo collegato a internet.

Tutto questo ha fatto sì che ci rinchiudessimo ancora di più in quella bolla che caratterizza i social media dalla loro nascita. Abbiamo vissuto all’interno delle nostre bolle che rispetto a dieci anni fa hanno delle pareti più spesse, grazie ad algoritmi più potenti. Oggi sono in grado di personalizzare sempre meglio l’offerta di contenuti e di informazione a cui veniamo sottoposti ogni volta che apriamo uno smartphone, un computer o una tv per leggere un articolo, ascoltare un podcast o della musica, oppure vedere una serie. Un esempio: basti pensare che i software di raccomandazione su Netflix sono responsabili del 75 per cento di ciò che il pubblico guarda e rappresentano il motore che convince i clienti a mantenere attivo l’abbonamento. Dinamiche simili riguardano anche Instagram, TikTok, Spotify e Amazon. Finché consumiamo, il “danno” è tutto sommato limitato. Ma ci sono maggiori pericoli quando dobbiamo costruirci un’opinione su un fatto e si passa dalla dimensione di consumatori a quella di cittadini. Per due motivi.

Il primo ha a che fare con gli algoritmi che, consigliandoci contenuti in base ai nostri interessi, rischiano solo di rafforzare le convinzioni e al tempo stesso di sfavorire il confronto, il dialogo. La seconda ragione, invece, è intrinsecamente legata a come sono strutturati i social network e le conversazioni che lì nascono. Infatti, dietro ai pollici alzati, ai cuoricini e alle varie emoji c’è una modalità di discutere che ormai di frequente falsa la percezione della realtà, eliminando la complessità di cui è fatta la vita.