La Comunicazione inutile

La Comunicazione inutile

Dopo essermi occupato per oltre 20 anni, di comunicazione digitale e non, sono giunto alla conclusione che la gran parte dei messaggi che ci preoccupiamo di confezionare nella speranza che qualcuno sia interessato a leggerli siano inutili, perchè passano inosservati.


Ciò avviene perché la comunicazione non è un continuum, non esiste a prescindere, ma nasce e si sviluppa solo all’interno di una relazione, quella tra emittente e destinatario. Solo se ambedue sono interessati rispettivamente a trasmettere e ricevere avviene lo scambio di contenuti, altrimenti è solo tempo (e magari soldi) perso per l’emittente e frustrazione per il destinatario. Senza contare il fatto che la comprensione del messaggio può sempre subire alterazioni e determinare fraintendimenti a prescindere dalla predisposizione dei due attori.


Viviamo in un mondo pieno zeppo di messaggi che vagano alla ricerca di un destinatario che spesso neanche si conosce. La risorsa più scarsa oggi sembra essere l’attenzione, riuscire a catturarla richiede pazienza e capacità ma soprattutto autenticità, perchè i contenuti sono troppi e la capacità di prestarvi attenzione sempre più ridotta. L’attenzione oggi nasce solo nel momento del bisogno, solo quando chi deve reperire quell’informazione o quel messaggio si mette in ascolto o alla ricerca. Diversamente è tutto inutile, le antenne non sono drizzate e i messaggi si perdono.


Ecco perchè è necessario predisporre e investire su degli strumenti “pull” piuttosto che “push” ovvero che possono essere reperiti dal destinatario facilmente nel momento del bisogno e non sollecitati dall’emittente solo perchè interessato a comunicarli in qualsiasi momento. Ma neanche questo basta. Il cliente non si fida di un volantino, di un sito web o di uno spot. Vuole prima verificare, vuole sincerarsi, vuole sapere se è vero quello che avete scritto, che aprite tutti i giorni alle 10, che c’è lo sconto, che il prodotto/servizio che gli proponete risponde alle sue aspettative, perchè non ama rischiare, teme l’imprevisto, il disagio, la delusione. E allora telefona, vuole sentire un voce umana e non una voce registrata, vuole calore e non un freddo form da riempire, vuole essere tranquillizzato, vuole che gli dedichiate del tempo non che lo trattiate come un numero. Il telefono è e resta lo strumento (a distanza) principe per adempiere a questo scopo.

Le chat, le e-mail, i form, i social network non potranno mai avere l’efficacia del telefono. E invece il paradosso è che le aziende (soprattutto quelle di grandi dimensioni) tendono a delegare ai call center (quando va bene) e ai form da compilare la comunicazione con il cliente, sottovalutando il fatto che il primo acquisto il cliente lo fa al telefono. In quei pochi minuti di conversazione capirà se lo state accogliendo o respingendo, se siete li per risolvergli un problema o per crearglielo, se siete affidabili o meno, se lo considerate una persona o un numero.

L’acquisto del prodotto/servizio che gli proporrete sarà una conseguenza della relazione che riuscirete a stabilire con lui. La relazione si crea grazie alle presenza di messaggi non verbali (tono di voce, sguardo, posture, etc.) e non per la mera presenza di un contenuto. Non c’è manifesto, social network, sito web o spot che tenga. La comunicazione è relazione e la relazione è la base sulla quale gli esseri umani costruiscono tutto il resto: amicizie, passioni, interessi. Senza la relazione la comunicazione diventa semplicemente inutile.

Il pensiero rimuginante: loop mentali e la dittatura delle abitudini

La dittatura delle abitudini

La maggior parte delle scelte che compiamo ogni giorno non sono frutto di riflessioni consapevoli bensì di abitudini. E benché, singolarmente prese, non abbiano grande significato, nel loro complesso le abitudini influenzano enormemente la nostra salute, il nostro lavoro, la nostra situazione economica e la nostra felicità.

Le abitudini non sono un destino a cui siamo costretti a piegarci. Le abitudini si possono ignorare, modificare o sostituire. L’abitudine ci rivela una verità fondamentale: quando si forma, il cervello non partecipa più al processo decisionale.

Alleggerirsi di certi atteggiamenti mentali, significa attivare nuovi modi di approcciare le cose, diventare consapevoli dei pensieri negativi con i quali carichiamo la vita. Ecco 11 atteggiamenti mentali e pensieri negativi ricorrenti:

Ragionare troppo

Preoccuparsi in modo ossessivo per qualcosa che deve avvenire, (molto spesso fattore predittivo diretto del fallimento) con ipotesi ripetitive del tipo “se io, se poi… “, sprecando preziose risorse ed energie utili ad elaborazioni più fruttuose. Oppure rimuginare sulle cose, ingrandirle, farle esplodere, dargli potere dentro di noi.

Essere abitudinari

Accomodarsi nell’abitudine, dicendosi le stesse cose, analizzando le situazioni con identici criteri. Un loop mentale, un allenamento automatico che ci porta a comportare nello stesso modo, non sempre efficace. E non ci rende elastici, tonici e leggeri.

Lamentarsi

Lamentarsi e ancora lamentarsi, esasperare se stessi e gli altri. Orientare i pensieri solo verso direzioni negative, avvilendoci, fare i disfattisti, gli autodistruttivi e autosabotanti, rimanendo in uno stato di inattività che non ci rende produttivi e creativi. I pensieri da bruciare, quelli limitanti, sono “non ce la farò mai“, “è inutile che provi”, “perché succede tutto a me… “. Ammesso invece dirsi sinceramente “ho dei dubbi”, “mi sento insicura”…

Il vittimismo

Cercare di continuo fuori da noi i motivi dei fallimenti, covare rancori, atteggiarsi da vittima o pensare di essere sempre vittima, pensare di non avere controllo su quello che ci accade. Tutto ciò crea in noi il bisogno di un cuscino adiposo per reggere meglio i colpi della vita, fare zavorra, segnare la nostra presenza, nascondersi nelle insicurezze.

Avere un dialogo interno auto-svalutante

Il “dialogo interno” è quella sorta di voce interiore che ci accompagna in tutto quello che facciamo. Esso è formato dai pensieri che formuliamo sul mondo. Poichè il dialogo interno costituisce di fatto un insieme di messaggi che inviamo a noi stessi, se è prevalentemente di matrice negativa, esso rischia di sabotare gravemente il nostro benessere.

Avere attitudini pessimistiche

Una tra le più controproducenti forme di pensiero consiste nel partire da una situazione e vedere solo il lato negativo, o addirittura ipotizzare il peggio. Per molte persone, guardare il bicchiere mezzo vuoto è un’attitudine abituale e automatica.

In realtà, è il modo in cui si sceglie di guardare le circostanze che rende la situazione positiva o negativa, e questa scelta può immediatamente renderci più forti o più deboli, più felici o più tristi, potenti o vittime. Dipende tutto da come scegliete di osservare il momento.

Fare paragoni negativi con gli altri

Uno dei più facili e comuni modi per sentirsi tristi e insoddisfatti è paragonare se stessi agli altri, in particolare con persone irraggiungibili. Spesso tendiamo a fare confronti con persone che ricevono un sacco di complimenti, che sono molto attraenti, che fanno molti soldi, o che hanno moltissimi contatti sui social. Quando vi trovate a desiderare quello che hanno gli altri, e vi sentite invidiosi, inferiori e inadeguati, molto probabilmente state mettendo in atto paragoni sociali negativi.

Rimuginare sul passato

Dovremmo imparare dal passato, non farci schiacciare da esso. Può capitare che circostanze avverse della vita ed episodi personali negativi possano bloccarci, farci diventare insicuri nelle scelte e non farci riconoscere nuove brillanti opportunità. Tuttavia, mentre ciò che è avvenuto nel passato non può essere modificato, abbiamo la possibilità di dare una nuova forma a quello che deve ancora accadere. Il primo passo è quello di rompere col passato e dichiarare che siamo noi, non la nostra storia, ad essere in gioco adesso.

Sentirsi impotenti di fronte a persone ostili

È frequente incontrare sulla propria strada persone difficili. Di fronte a questi individui che cercano continuamente la sfida, è facile arrivare a credere che loro siano forti e noi le vittime, e che con il loro comportamento aggressivo abbiano il controllo su di noi. Molti nostri atteggiamenti di fuga, anche se giustificati, sono notevolmente influenzati dalla convinzione della propria debolezza. La chiave per cambiare questa falsa credenza di essere vittime di un prepotente è spostarsi dalla condizione di passività a quella di attività.

Colpevolizzare gli altri

Colpevolizzare consiste nel far sentire gli altri responsabili delle proprie disgrazie. Molte persone hanno l’abitudine di buttare la colpa della loro infelicità o mancanza di successo su genitori inefficienti, relazioni negative, su svantaggi socio-economici o sulla salute precaria. Certamente è vero che la vita è piena di difficoltà, ed innegabili sono il dolore e le sofferenze che ne conseguono, tuttavia incolpare gli altri della propria infelicità e assumere il ruolo di vittima non è un atteggiamento efficace.

Avere difficoltà a perdonare se stessi

Tutti noi commettiamo errori nella vita. Quando guardate indietro alle vostre azioni passate, ci sono decisioni e gesti che rimpiangete di aver fatto? Ci sono stati errori sfortunati di giudizio che hanno causato dolore a voi stessi e agli altri? Credo proprio che tutti risponderemmo di sì. La domanda più importante, dunque, è un’altra: come rievocate questi eventi passati? Pensate a voi come delle cattive persone e vi sentite in colpa per avere fatto male qualcosa o aver perso delle opportunità? molto dipende da come leggiamo e rileggiamo gli eventi! Durante questi momenti difficili, è estremamente importante essere compassionevoli con se stessi.